LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 9
13 dicembre 2015 – 3ª domenica di Avvento
Ciclo liturgico: anno C
Lo Spirito del Signore è sopra di me,
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio.
Luca 3,10-18 (Sof 3,14-18 - Salmo: Is 12,2-6 - Fil 4,4-7)
O Dio, fonte della vita e della gioia, rinnovaci con la potenza del tuo Spirito, perché corriamo sulla via dei tuoi comandamenti, e portiamo a tutti gli uomini il lieto annunzio del Salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio.
Spunti per la riflessione
Cambiamenti
È un avvento strano, bella scoperta.
Sottotono, forse. Stordito, da un certo punto di vista.
Viviamo come in una bolla, ormai assuefatti dalle tante notizie che arrivano dai quotidiani. Dobbiamo vivere come sempre, ci dicono i nostri governanti. Sì, giusto, abbastanza.
Ma intanto la gente si arrangia, annulla viaggi, ci pensa due volte prima di partecipare ad un concerto.
E il Natale, qui?
Domenica scorsa cercavo di proporre a me e a voi una cosa semplice: lasciare che sia la Parola ad interrogarci, ad illuminare, non le parole del mondo, tante, alcune azzeccate, ma molte di più quelle aggressive, urlate, giudicanti, inutili.
Prendere sul serio la Parola, una volta tanto.
Ce lo ha dimostrato Francesco che è andato dalle sue pecore ferite in Africa, senza paura dei lupi, non temerario od arrogante ma consapevole della verità del Vangelo. A parlare di pace, di giustizia, di solidarietà a gente che vive nella paura perenne e nella povertà.
Insomma: prendiamolo sul serio questo Natale.
Se ci sarà un inutile regalo in meno, qualche decibel di emozione in meno, e qualche istante di autenticità in più, di anima, di verità, di compassione, allora anche questa follia che è il terrorismo ci avrà richiamato alle cose vere, autentiche. E quei valori che diciamo di voler difendere non si ridurranno a voler prendere un mojito in santa pace, cosa legittima, ma a credere che l’uomo è più di quel che produce, di quel che consuma, di quel che odia.
Difficile? Vero. Ma si può gioire ugualmente, sul serio.
Sofonia e Paolo
Oggi è la domenica della gioia.
Perché la liturgia alza lo sguardo, gioisce per la venuta di questo Dio che non si stanca dell’umanità rissosa e incoerente. Felicità che è uno dei temi ricorrenti nella Bibbia e che tutti accomuna. (Anche di quegli idioti che si illudono di trovarla dopo essersi uccisi ed avere ucciso in nome di dio).
Nella Bibbia si usano più di venticinque termini per descrivere la felicità. Così, per ricordare a noi cattolici spesso depressi e dolenti che la fede ha a che fare con la gioia.
La gioia di sapere che Dio viene ancora.
Sofonia esulta perché davanti alla disastrosa indifferenza di Israele il Signore, invece di scatenare la sua legittima ira, promette una nuova alleanza. Paolo invita i Filippesi a gioire per la presenza del Signore che continuamente viene a visitarci là dove siamo.
Ma è il Battista, protagonista del tempo di avvento, a osare di più.
Ricerche
La folla scende da Gerusalemme nel deserto per ascoltare il Battista.
Simpatici: a Gerusalemme hanno il ricostruendo tempio e folle di sacerdoti e predicatori.
La Disneyland della fede. Inconsistenti e poco credibili. Devono lasciare il lusso del tempio per andare a bruciarsi nel deserto e vedere un uomo consumato dal vento parlare sul serio di Dio. La gente sa, la folla intuisce, il popolo vede lontano.
È la coerenza di quel profeta scomunicato a mettere i brividi. La sua passione, il suo sguardo, la sua verità che brucia nell’anima. L’attrazione diventa decisione imperiosa.
Non importa l’esperienza che la gente vive, non importa il loro mestiere, non esistono puri e impuri nel deserto, né primi della classe o ultimi, o maledetti. Tutti possono essere salvati, perché la Parola è scesa nel deserto, non nei palazzi, non nei templi, non a Roma.
E tutti sanno cos’è il deserto, tutti noi sappiamo, se siamo onesti con noi stessi, senza nasconderci dietro i paraventi, cos’è il deserto della solitudine, al di là delle troppe apparenze che ci distolgono dall’essenziale.
Cosa dobbiamo fare?
Che cosa dobbiamo fare? è la domanda che sorge nel nostro cuore quando ci guardiamo dentro, quando lasciamo che il silenzio evidenzi e smascheri la nostra sete di felicità e di bene, quando una tragedia ci ridesta alla durezza e alla verità della vita, quando vogliamo prepararci ad un Natale che non resti solleticamento emotivo ma diventi conversione e luce e pace, quando vediamo la violenza e la follia disturbare il piccolo mondo di sicurezze che pensavamo definitivamente acquisito..
E le risposte del profeta sono sconcertanti: consigli banali, semplici, non propone nessuna scelta radicale impossibile, nessun sogno eccessivo: condividete, non rubate, non siate violenti…
Al popolo (credente e devoto!) Giovanni chiede di condividere, di non lasciare che la fede resti solo preghiera o vaga appartenenza, ma di farla vibrare nella vita questa fede, di lasciare che contagi le nostre vite e le nostre scelte concrete, per non rendere schizofrenica la nostra religiosità.
Ai pubblicani, appaltatori delle tasse e ladri, chiede di essere onesti, di non esigere troppo nascondendosi dietro ad un dito. Come quando, noi professionisti, esigiamo per la nostra competenza troppo denaro appellandoci alle tariffe e scordando il difficile momento che le gente sta vivendo.
Ai soldati, abituati alla violenza, Giovanni chiede mitigazione e giustizia, di non spadroneggiare.
Geniale
Giovanni ha ragione: dalle cose piccole nasce l’accoglienza.
Giovanni ha ragione, fai bene ciò che sei chiamato a fare, fallo con gioia, fallo con semplicità e diventa profezia, strada pronta per accogliere il Messia.
Era normale per i pubblicani rubare, normale per i soldati essere prepotenti, normale per la gente accumulare quel poco che guadagnava.
Giovanni mostra una storia “altra”: sii onesto, non essere prepotente, condividi.
Questa storia “altra” è la nostra civiltà, quella da difendere con la ragione e la profezia. Questa è la terza via davanti ad un terrorismo che vuole imporre la sua violenza sorda e cieca e un mondo occidentale malato dei suoi vizi molli e ingannevoli.
Questo possiamo fare, oggi, per contrastare ogni violenza. Per accogliere Dio che viene.
Diventa eroico, anche oggi, essere integerrimi nell’onestà sul lavoro, profetico essere persone miti in un mondo di squali, sconcertante porre gesti di gratuità.
Dio si fa piccolo. Nei piccoli atteggiamenti ne rintracciamo la scia luminosa.
E questo dona gioia, sin d’ora.
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L’Autore
Paolo Curtaz
Ultimogenito di tre fratelli, figlio di un imprenditore edile e di una casalinga, ha terminato gli studi di scuola superiore presso l’istituto tecnico per geometri di Aosta nel 1984, per poi entrare nel seminario vescovile di Aosta; ha approfondito i suoi studi in pastorale giovanile e catechistica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma (1989/1990).
Ordinato sacerdote il 7 settembre 1990 da Ovidio Lari è stato nominato viceparroco di Courmayeur (1990/1993), di Saint Martin de Corlèans ad Aosta (1993/1997) e parroco di Valsavaranche, Rhêmes-Notre-Dame>, Rhêmes-Saint-Georges e Introd (1997/2007).
Nel 1995 è stato nominato direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, in seguito ha curato il coordinamento della pastorale giovanile cittadina. Dal 1999 al 2007 è stato responsabile dell’Ufficio dei beni culturali ecclesiastici della diocesi di Aosta. Nel 2004, grazie ad un gruppo di amici di Torino, fonda il sito tiraccontolaparola.it che pubblica il commento al vangelo domenicale e le sue conferenze audio. Negli stessi anni conduce la trasmissione radiofonica quotidiana Prima di tutto per il circuito nazionale Inblu della CEI e collabora alla rivista mensile Parola e preghiera Edizioni Paoline, che propone un cammino quotidiano di preghiera per l’uomo contemporaneo.
Dopo un periodo di discernimento, nel 2007 chiede di lasciare il ministero sacerdotale per dedicarsi in altro modo all’evangelizzazione. Oggi è sposato con Luisella e ha un figlio di nome Jakob.
Nel 2009 consegue il baccellierato in teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano con la tesi La figura del sacerdozio nell’epistolario di don Lorenzo Milani e nel 2011 la licenza in teologia pastorale presso l'Università Pontificia Salesiana di Roma, sezione di Torino, con la tesi Internet e il servizio della Parola di Dio. Analisi critica di alcune omelie presenti nei maggiori siti web cattolici italiani.
Insieme ad alcuni amici, fonda l’associazione culturale Zaccheo (2004) con cui organizza conferenze di esegesi spirituale e viaggi culturali in Terra Santa e in Europa.
Come giornalista pubblicista ha collaborato con alcune riviste cristiane (Il Nostro Tempo, Famiglia Cristiana, L’Eco di Terrasanta) e con siti di pastorale cattolica.
Nel 1999 è stato uno dei protagonisti della campagna pubblicitaria della CEI per l’8x1000 alla Chiesa cattolica. Come parroco di Introd ha accolto per diverse volte papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI nelle loro vacanze estive a Les Combes, villaggio di Introd.
Esegesi biblica
PREDICAZIONE DI GIOVANNI BATTISTA (3, 1-20)
Luca, conformemente agli altri sinottici, e a Giovanni, apre il vangelo propriamente detto con la predicazione del Battista (3,1-20), ma a differenza degli altri evangelisti premette un ampio quadro della situazione politico-religiosa in cui il precursore comincia la sua manifestazione, dall’imperatore di Roma al pontificato di Anna e Caifa. È un’introduzione troppo solenne per non supporre che egli miri soprattutto alla persona e alla missione di Gesù e all’instaurazione del regno di Dio destinato a sostituire tutte le dominazioni terrene.
Luca abbonda nella sua enumerazione richiamando accanto alla Galilea e Giudea due domini pagani, appunto per ricordare che non solo Israele ma anche i gentili erano chiamati a passare sotto la regalità di Cristo.
Il sommo sacerdote Anna, anche se dal 15 d.C. aveva finito il suo incarico, continuava ad esercitare il suo peso nelle decisioni del Sinedrio (cfr. Gv 18,13-24; At 4,6). Caifa d’altronde era suo suocero (cfr. Mt 26,3.57; Gv 18,24-28).
Luca nel “racconto” dell’infanzia (1,5-80) aveva lasciato Giovanni “nel deserto”; da qui riprende ora a parlare della sua missione, solo che a differenza di Matteo e Marco il precursore non è fermo in un luogo ma si muove “per tutta la regione” (3,3), non è tanto un eremita che si ritira nel deserto, quanto piuttosto un profeta itinerante.
La missione di Giovanni è quella di tutti i profeti: riportare il popolo al suo Dio. La conversione è il tema abituale della predicazione profetica. Difatti non si è mai pienamente orientati verso il bene, verso Dio e il prossimo, c’è sempre qualcosa o molto da modificare, rettificare, perfezionare. Il grido di Giovanni “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” non risuona mai invano per quanti si mettono in ascolto della Parola di Dio che è sempre una spada tagliente, a doppio taglio che ha molto da recidere, sradicare nel cuore degli uomini, soprattutto del credente (cfr. Is 49,2; Ebr 4,12).
Giovanni accompagna la sua predicazione con l’invito a sottoporsi a un rito simbolico che di per sé non realizzava ma indicava il cambiamento di vita che il penitente si proponeva di attuare.
Il “battesimo” consisteva in un’immersione e riemersione nelle e dalle acque del Giordano. Con tale gesto l’uomo segnalava ai presenti che nel suo intimo si andava verificando come un’abluzione spirituale, un rinnegamento delle sue vecchie abitudini con l’intento di far subentrare un nuovo regime di vita, fatto di umiltà, bontà, mansuetudine, lealtà.
Le parole pronunciate o poste in bocca a Giovanni provengono da Is 40,2-5 e sono quelle con cui il grande profeta post-esilico annunzia ai suoi connazionali la fine della schiavitù babilonese e il ritorno in patria. Si tratta pertanto di un annuncio di consolazione e non di un oracolo di sciagure. Giovanni assumerà anche la figura di un predicatore arcigno e catastrofico (Lc 3,7-18), ma in questi primi tratti della sua missione è un annunciatore di buone notizie, in altre parole del “vangelo”. Ciò che conta è saperlo accogliere, fargli spazio nel proprio cuore. La “strada” da preparare non è più quella che attraversa il deserto, da Babilonia a Gerusalemme, bensì quella più breve, però più insidiosa che va dalla mente al cuore, alla volontà dell’uomo, e dove si annidano angolosità di ogni genere che ne ostacolano e ne impediscono la percorribilità. L’agire morale dell’uomo è per l’autore biblico la conformità a un codice stradale: ci sono varie infrazioni suggerite dalla pigrizia, dalla vanità o dall’orgoglio che debbono essere evitate, altrimenti non potrà trovare accoglienza il messaggio evangelico. Sono veri idoli che ostacolano il cammino di Dio nell’uomo e per questo sono da rimuovere se si vuole “vedere”, cioè fare esperienza della salvezza che ci attende.
Dal punto di vista esegetico, Luca, composto dopo Mc e Mt, si manifesta sospettoso verso un tentativo del cristianesimo primitivo di presentare il Battista come un rivale o addirittura come un dichiarato oppositore di Gesù. Il vangelo di Giovanni (1,8.19-34) sarà assai esplicito nel far rilevare che Giovanni il Battista non è il Messia.
Facendo un confronto tra Lc e Mt troviamo che:
1) Lc omette l’annuncio di Giovanni Battista che il regno di Dio è vicino (Mt 3,2) e riserva a Gesù questa proclamazione (Lc 10,9.11).
2) Lc sopprime la descrizione del Battista nel ruolo di Elia (Mt 3,4 Mc 1,6) e il resoconto dell’attività del Battista, specialmente il fatto che accorrevano a lui da ogni regione per farsi battezzare (Mt 3,5).
3) Nell’affermazione: “viene dopo di me Colui che è più forte di me”, Luca allontana il pericolo che Gesù venga considerato un discepolo del Battista o forse anche un suo intimo amico. Lc considera Giovanni l’ultimo e il più grande dei profeti d’Israele, ma chiaramente al di fuori della gloriosa èra messianica che inizia con Gesù (Lc 16,16; At 13,24): in questi testi l’evangelista asserisce che Giovanni venne “prima della sua [di Gesù] venuta”.
Benché la prassi di presentare un profeta indicando i nomi delle autorità contemporanee abbia paralleli nell’AT (Is 1,1; Ger 1,3; Os 1,1), lo stile di Luca si avvicina di più a quello degli autori classici greci, come Tucidide, che inizia in modo analogo la narrazione della guerra del Peloponneso.
L’evangelista inquadra l’inizio della predicazione del Battista nella cornice della storia contemporanea a partire dall’impero romano, passando attraverso il governo politico e religioso della Palestina.
Il governo politico passa dal regno di Erode il Grande - un regno soggetto a Roma - che costituiva la cornice del “vangelo dell’infanzia” (1,3; 2,1-2), a un’amministrazione diretta della Giudea da parte dell’imperatore e del suo governatore, mentre il resto del regno di Erode - la Galilea in particolare - era affidato ai suoi figli, che ne erano i reggenti.
Il governo religioso, invece, è incentrato sui sommi sacerdoti Anna e Caifa.
Giovanni s’affaccia sul deserto meridionale di Giuda, nei pressi del Mar Morto, ove confluisce il Giordano. La sua predicazione è, per Luca, centrata sul battesimo di conversione e di perdono. Come gli altri evangelisti, egli illustra la missione del Battista con una citazione di Isaia (40,3-5), un testo che celebrava il ritorno glorioso degli Ebrei esuli a Babilonia lungo una via piana e retta, simile alle strade processionali che conducevano ai templi.
Si ha, quindi, l’inizio di una nuova éra a cui bisogna prepararsi con la conversione.
Giovanni chiede a coloro che incontra di mutare condotta, di tenere un comportamento che testimoni una vera conversione. Sfilano ora davanti al Battista tre categorie diverse. Queste pericopi (10-14) che sono esclusive di Lc rivelano l’interesse dell’evangelista per la dimensione universale della redenzione.
1) Gli Ebrei che vanamente allegano la loro discendenza da Abramo e che devono, invece, compiere “frutti degni di conversione”, cioè che testimonino un autentico mutamento di vita.
2) I pubblicani, cioè gli esattori delle tasse e i loro subalterni, invitati al rigore della giustizia evitando corruzioni e vessazioni.
3) I soldati, ai quali si impone il superamento di ogni tipo di violenza.
Ma la figura del Battista è tutta protesa verso un altro personaggio e un altro battesimo “in Spirito Santo e fuoco”. Nei confronti di Cristo, Giovanni si sente simile a uno schiavo del livello infimo: lo sciogliere il legaccio dei sandali era un atto che un padrone non poteva esigere dal suo servo ebreo, perché considerato troppo umiliante.
Le quattro Domeniche di Avvento - anno C
1ª Domenica
Geremia 33,14-16 Realizzerò le promesse di bene.
Salmo 24 A te, Signore, innalzo l’anima mia, in te confido.
1 Tessalonicesi 3,12-4,2 … per rendere saldi i vostri cuori… alla venuta del Signore.
Alleluia Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza.
Luca 21,25-28.34-36 Risollevatevi e alzate il capo perché la vostra liberazione è vicina.
2ª Domenica
Baruch 5,1-9 Deponi la veste del lutto e rivestiti dello splendore della gloria.
Salmo 125 Grandi cose ha fatto il Signore per noi.
Filippesi 1,4-6.8-11 La vostra carità cresca sempre più… per il giorno del Signore.
Alleluia Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Luca 3,1-6 Voce di uno che grida nel deserto: «Preparate la via del Signore».
3ª Domenica
Sofonia 3,14-17 Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele.
Salmo: Isaia 12 Canta ed esulta, perché grande in mezzo a te è il Santo di Israele.
Filippesi 4,4-7 Siate sempre lieti nel Signore.
Alleluia Lo Spirito del Signore è sopra di me,
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio.
Luca 3,10-18 Io vi battezzo con acqua ma egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
4ª Domenica
Michea 5,1-4 E tu Betlemme, così piccola,… da te uscirà il dominatore di Israele.
Salmo 79 Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi.
Ebrei 10,5-10 Ecco io vengo per fare la tua volontà.
Alleluia Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola.
Luca 1, 39-45 Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto.
Il Tempo di Avvento ha una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo i cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi.
I fedeli che vivono con la liturgia lo spirito dell’Avvento, considerando l’amore con cui la Vergine Madre attese il Figlio, sono invitati ad assumerla come modello e a prepararsi per andare incontro al Salvatore che viene, «vigilanti nella preghiera, esultanti nella sua lode» (Marialis cultus, 4).